di William Shakespeare
Mi chiedo se il modo migliore per parlare di Misura per Misura, al di là della possibile origine del suo titolo, non sia quello di tentare di descriverne per sommi capi l’innesco della trama. Proviamoci. Ci troviamo a Vienna e il governo è retto da un solo uomo, il Duca, e sebbene la sua amministrazione sembri godere del benestare del popolo, diverse evidenze ci fanno pensare che non sia la più efficace di questo mondo: la città versa nel disordine totale; la prostituzione, è ormai una forza ...
Mi chiedo se il modo migliore per parlare di Misura per Misura, al di là della possibile origine del suo titolo, non sia quello di tentare di descriverne per sommi capi l’innesco della trama. Proviamoci. Ci troviamo a Vienna e il governo è retto da un solo uomo, il Duca, e sebbene la sua amministrazione sembri godere del benestare del popolo, diverse evidenze ci fanno pensare che non sia la più efficace di questo mondo: la città versa nel disordine totale; la prostituzione, è ormai una forza economica tale da sfuggire ad ogni regolamentazione. E con essa si propagano una malattia insidiosa e una schiera di figli illegittimi che potrebbero poi avanzare pretese ingestibili in termini di patrimonio ed eredità. In fondo, se pensiamo a Re Lear, è Edmund il bastardo uno dei principali problemi del dramma, segno che per Shakespeare e la società elisabettiana – e non solo – il soggetto della legittimità filiale fosse particolarmente necessario. Quindi, che fa il nostro buon Duca davanti al problema? Se ne va, alla vigilia di delicatissime trattative diplomatiche, lasciando il governo dello stato non alla solita riserva della repubblica di turno – anche se qui di repubbliche non se ne vedono – ma ad un vero e proprio enfant prodige delle scienze politiche di nome Angelo. Uno, che per quanto giovane e forse privo di esperienze amministrative concrete, sembrerebbe essere, a detta di chi lo conosce bene, il migliore per un incarico di emergenza di questa portata. Il Duca parte in tutta fretta ed Angelo inizia a sbrogliare la matassa del caos viennese: chiude i bordelli e interpreta con zero tolleranza il codice di leggi fino a quel momento lasciato inapplicato. E secondo il motto di “colpirne uno per educarne cento” il suo primo atto è la condanna a morte sulla pubblica piazza del giovane Claudio, reo di aver messo incinta la sua futura moglie Giulietta prima del matrimonio. Potremmo fermarci qui se non fosse che il condannato ha una sorella, Isabella: la ragazza non fa in tempo ad iniziare il suo percorso per diventare suora di clausura che viene tirata in ballo per implorare al vicario Angelo di “punire la colpa” ma non il colpevole e salvare così la vita al fratello.
Non occorre aggiungere che la cosa andrà avanti nel peggiore dei modi: il buon Angelo prenderà in considerazione l’idea di graziare Claudio solo e soltanto a patto che la ragazza rinunci alla sua verginità. Fermiamoci qua prima che la storia divenga ancora più, come detto nell’introduzione della versione Arden – le edizioni critiche per antonomasia dei testi shakespeariani – a cobbled-together mess, tradotto: un (magnifico, aggiungo io) casino. La storia di questa fantaVienna è quella di una società lacerata da tensioni estreme, così come lo è la stessa drammaturgia di Shakespeare. Misericordia e giustizia; castità e prostituzione; responsabilità pubblica e ambizioni private: l’elenco dei tanti piatti delle tante bilance di cui si costituisce questa storia è lungo e vorrei soffermarmi al momento su uno solo. Da sempre si fatica a collocare Misura per Misura nel corpo delle opere del bardo. Non ci sono gli elementi per definirlo una commedia. Neppure quelli per definirlo una tragedia. Non c’è un equilibrio tale per definirlo una tragicommedia. E allora cos’è? Forse, andando a pescare, nell’esperienza che dà anche soltanto leggere i cinque atti del testo, quello che si percepisce è un continuo movimento, estremo, radicale, che fonde la commedia nella tragedia e viceversa. Ne nasce un oggetto nuovo che sottopone gli interpreti, echi guarda, ad una sorta di costante movimento: si ride nello stesso momento in cui si piange. E penso che i più idonei a vivere ed interpretare quel disordine, a tratti armonioso, a tratti incasinato, possano essere soprattutto coloro che sono nel divenire della formazione della propria identità. Coloro che possono avere uno sguardo su una possibile nuova società. Coloro che, come Angelo nel momento in cui scopre il proprio desiderio, sono chiamati ad affrontare un’esperienza che mai avrebbero potuto prevedere. Ecco, quindi, che affrontare misura per misura con un cast di giovani attrici e attori di talento è un’opportunità preziosa. E a rendere quest’intento più elettrico ci pensa la magnifica traduzione di Cesare Garboli che apre il monologo iniziale del Duca con un’invenzione: “che cos’è il governare?”. Un interrogativo a cui lui, come noi, forse non sappiamo rispondere. Da parte mia, posso provare a dare un piccolo contributo, mi si perdoni, con un inserto biografico. Durante la mia adolescenza passata nella campagna lucchese, mia nonna, di madre austriaca, era solita prendersi cura delle galline. Nel farlo, diceva, non senza una certa solennità: “vado a governare le bestie”. Ecco, per me la parola governo si lega a quello. All’idea di un confronto, indefinitivo, con la natura. E in fondo, non mi sembra troppo lontano da quello che tutti i personaggi di misura per misura devono fare. Scoprire sé stessi. Nel momento del proprio errore.