Nel Settembre 1962 Pier Paolo Pasolini definisce il fascismo «come normalità, come codificazione, allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.»
Alla domanda: “Il fascismo sta tornando?” oggi si può forse rispondere con un’altra domanda: “E se in realtà non se ne fosse mai andato?”. Nel nostro Paese, i segni di un ritorno del fascismo sono numerosi e non sono solo di oggi, anzi sono rintracciabili lungo il corso di almeno gli ultimi trent’anni. Il preval...
Nel Settembre 1962 Pier Paolo Pasolini definisce il fascismo «come normalità, come codificazione, allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società.»
Alla domanda: “Il fascismo sta tornando?” oggi si può forse rispondere con un’altra domanda: “E se in realtà non se ne fosse mai andato?”. Nel nostro Paese, i segni di un ritorno del fascismo sono numerosi e non sono solo di oggi, anzi sono rintracciabili lungo il corso di almeno gli ultimi trent’anni. Il prevalere delle destre sulla scena politica nazionale ed internazionale, la rivalutazione dei nazionalismi, dei confini, dei protezionismi, l’insorgenza sulla scena politica e sociale dei “nuovi fascisti del terzo millennio”, l’avvento del razzismo dilagante verso lo straniero e il diverso, la diffusione di un sentimento di rancore che si manifesta nella sfrenata caccia al capro espiatorio, fanno purtroppo pensare a questo. Le Furie non si sono mai placate, hanno solo finto un pentimento, non sono state neutralizzate dalla società civile, in realtà non sono mai state trasformate in Eumenidi da Atena. Restano invece sepolte alle radici della nostra società, inquinano le falde più profonde della società civile, ammorbano i sentimenti e i valori più puri. Le Furie, oggi, travestite da divinità protettrici, occupano i Palazzi del Potere, dispongono delle vite di ogni cittadino, inscenano teatrini di falsa politica, orientano consensi e dissensi con i loro volti televisivi ammiccanti e tranquillizzanti. Shakespeare ci parla di tutto questo: di un potere cieco, assoluto, del culto della personalità, della manipolazione delle masse attraverso l’uso del linguaggio e dell’immagine pubblica, di un popolo senza volto alla ricerca ostinata di un Leader, popolo senza dignità, dalla sfrenata voglia di gogna, popolo in pieno delirio narcisistico, che muta opinione in base alle promesse del più abile imbonitore. I congiurati vogliono instaurare la Repubblica. Sono giovani, motivati, idealisti e vogliono sopprimere l’ingiustizia e l’abuso di potere. Ma si riveleranno vulnerabili, fragili, privi di qualsiasi abilità politica, troppo ingenui nella loro presunta umanità colma di ideali. Sono creature fragilissime, preda di paure e terrori notturni, vittime del destino. Giulio Cesare è creatura onnipotente, sovrannaturale, dai lineamenti trasformati, cancellati, multipli. Il potere sommo è in maschera e si identifica con essa: la maschera muta la personalità, sconvolge la mente, cela le vere intenzioni del Leader assoluto, l’uomo dei “pieni poteri”. Nel nostro spettacolo lo stesso attore che interpreta Giulio Cesare, nella seconda parte, senza maschera, rivestirà il ruolo di Ottaviano, l’uomo nuovo, artefice di inedite alleanze di governo: purtroppo tra il vecchio e il nuovo non c’è alcuna differenza. Non serve “attualizzare” la scrittura di Shakespeare, è attuale di per sé.
I costumi fanno riferimento ad un’epoca fascista contaminata da elementi di classicismo. Vorrei suggerire in questo modo l’idea di un fascismo latente, insopprimibile, nel popolo italiano e con esso l’idea di un “fascismo degli antifascisti”, che inevitabilmente riporterà il Paese ad un nuovo sistema totalitario e ad un nuovo governo di stampo inequivocabilmente fascista (quello di Cesare Ottaviano). Pensando ancora a Pier Paolo Pasolini: “il fascismo è, se non proprio — come per Gobetti — “l’autobiografia della nazione”, sicuramente l’autobiografia della borghesia italiana.
Il fascismo è la plastica, violenta concretizzazione della grettezza borghese, del razzismo borghese, della sorda, vigliacca, depravata crudeltà borghese.”
Il disegno luci riproduce una Roma tetra, attraversata da temporali furiosi, lampi di luce improvvisa, deboli fiaccole e bracieri, simbolo del profondo buio interiore in cui sono calati tutti i personaggi del Giulio Cesare.
Note di regia
In un buio assoluto, nelle strade di una Roma rischiarata solo da fiaccole e bracieri, appaiono i personaggi del Giulio Cesare, figli della Storia e del loro inevitabile destino, creature del passato, ossessioni che visitano brevemente il nostro tempo. Gli attori interpretano le loro parti identificandosi in prima persona con i personaggi, confrontandosi con loro in modo ravvicinato, intimo, come fossero persone reali, senza “stili” o cliché teatrali precostituiti. Così i personaggi prendono vita lentamente dalla memoria del poeta.
Con l’ausilio di maschere di lattice che riproducono perfettamente le fattezze umane, 28 attori rivestono i 45 diversi ruoli del “Giulio Cesare”, conducendo uno studio approfondito sull’opera shakespeariana.
Si tratta di un “sogno teatrale” fatto di rigore, necessità, serietà e determinazione. Si cerca un linguaggio immediato, che indaghi sulle motivazioni profonde di composizione di un verso, di una battuta, si cerca la “verità” degli stati emotivi, il rapporto di necessità fra l’attore e ciò che viene detto. La poesia e il Teatro hanno un linguaggio sintetico e come tale vengono da noi affrontati: non è possibile mentire o “far finta”, applicare formule o stili precostituiti. Analizzando questa grande opera di William Shakespeare e il percorso di questi piccoli uomini dal destino già determinato, ritrovando le tracce delle loro vite reali nelle opere di Plutarco (da cui Shakespeare attinse a piene mani), abbiamo preso coscienza di quanto la Storia si ripeta incessantemente, di quanto la società controlli lo spirito umano, di quanto interferisca pesantemente nei meccanismi creativi ed educativi, di quanto il consenso e il dissenso siano fenomeni pilotati, di quanto la politica entri spesso in conflitto con la nostra vita quotidiana, di quanto la nostra Libertà sia qualcosa di illusorio ed effimero. Per questo vogliamo parlare con le parole di William Shakespeare grande poeta dallo sguardo rivolto al futuro.
Cast
Decio Bruto / Lepido / Messala:
FRANCESCO BISCIONE
Indovino / Cinna poeta / soldato:
SIMONE BOBINI
Metello Cimbro/ Cicerone / soldato:
SIMONE CIAMPI
Bruto:
GIANLUIGI FOGACCI
Portia - Il Destino:
MELANIA GIGLIO
Lucio:
ALESSANDRO GUERRA
Calpurnia:
FLAVIA MANCINELLI
Trebonio / Lucilio:
ALBERTO MARIOTTI
Giulio Cesare / Ottaviano:
MASSIMO NICOLINI
Artemidoro / Pindaro:
GIUSEPPE NITTI
Cassio:
GIACINTO PALMARINI
Marc’Antonio:
GRAZIANO PIAZZA
Cinna / Titinio / soldato:
ANDREA ROMERO
Casca:
CARLO VALLI
Plebei, soldati, messi, servi::
Massimiliano Auci, Antonio Bandiera, Andrea Carpiceci, Micol Damilano, Matteo Magazzù, Alessandro Marmorini, Dimitrios Ioannis Papavasileiou, Riccardo Parravicini, Daniele Ronco, Roberta Russo, Giorgia Serrao, Giovanni Tacchella, Luca Viola, Francesca Visicaro
Regia:
Daniele Salvo
Traduzione e adattamento:
Daniele Salvo
Musiche:
Marco Podda
Costumi:
Daniele Gelsi
Direzione tecnica:
Stefano Cianfichi
Disegno luci:
Umile Vainieri
Disegno audio:
Franco Patimo, Daniele Patriarca
Aiuto regia:
Alessandro Gorgoni, Alessandro Guerra
Maschere:
Michele Guaschino e Makinarium di Leonardo Cruciano
Combattimenti scenici:
Antonio Bertusi
Canti dal vivo:
Melania Giglio
Scene:
Fabiana Di Marco